Prolattina come biomarcatore del rischio cardiovascolare nei pazienti con sindrome coronarica acuta: risultati di uno studio

La prolattina

La prolattina è un ormone peptidico prodotto principalmente dalle cellule lattotropiche dell’ipofisi anteriore.

Sebbene sicuramente associata alla stimolazione della lattazione post-parto, la prolattina svolge una varietà di funzioni regolatorie nel corpo umano. In particolare, recenti ricerche hanno evidenziato che questo ormone potrebbe avere implicazioni significative anche nel contesto delle malattie cardiovascolari, come nelle sindromi coronariche acute.

La sua secrezione è principalmente regolata dalla dopamina, un neurotrasmettitore che agisce come inibitore, mentre l’ormone di rilascio della tirotropina (TRH) agisce come stimolatore​.

Oltre alla sua sintesi ipofisaria, la prolattina viene prodotta anche in altre sedi del corpo, tra cui il sistema nervoso centrale, l’utero, il sistema immunitario e le ghiandole lacrimali​. Queste fonti extra-ipofisarie non sono sotto il controllo dopaminergico, suggerendo che la prolattina può avere ruoli autocrini e paracrini.

A livello sistemico, la prolattina influenza l’omeostasi del metabolismo, la funzione immunitaria e lo sviluppo riproduttivo​.

Dal punto di vista immunitario, la prolattina agisce come modulatore, influenzando la proliferazione dei linfociti T e B, e la produzione di citochine​. Questa azione immunomodulatrice può contribuire alla risposta del corpo a stress acuti, come le infezioni o le lesioni. Inoltre, la prolattina ha un ruolo significativo nel metabolismo lipidico e del glucosio, influenzando la sensibilità insulinica e contribuendo al controllo del peso corporeo​.

La sindrome coronarica acuta

La sindrome coronarica acuta (ACS) è un termine ombrello che comprende condizioni come l’infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), l’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) e l’angina instabile. Queste condizioni sono caratterizzate da una riduzione improvvisa del flusso sanguigno al cuore, spesso causata dall’ostruzione delle arterie coronarie. L’ACS rappresenta una delle principali cause di mortalità e morbilità a livello globale.

L’iperprolattinemia può riflettere una reazione di stress neuroendocrino all’ACS, inducendo disfunzioni endoteliali acute, resistenza all’insulina e reazioni immunitarie vascolari. Inoltre, livelli elevati di prolattina sono stati associati a un aumento della rigidità arteriosa e a ipertensione, contribuendo all’arteriosclerosi e alle complicazioni cardiovascolari.

Lo studio

prolattina
immagine: Omniasalute.it

Lo studio, condotto presso l’Università Al-Mustansiriya, Baghdad, ha valutato i livelli sierici di prolattina in pazienti con infarto miocardico acuto (MI) per determinare la correlazione tra prolattina e biomarcatori cardiaci, come la troponina I cardiaca (cTnI). Questo studio trasversale ha coinvolto 44 pazienti con MI e 22 controlli sani. I campioni di sangue sono stati prelevati al mattino e analizzati per determinare i livelli di prolattina e altri biomarcatori.

Risultati

I risultati hanno mostrato un significativo aumento dei livelli di prolattina nei pazienti con infarto miocardico acuto MI rispetto ai controlli sani. I livelli medi di prolattina nei pazienti con MI erano di 22,01 ± 28,27 ng/ml, rispetto ai 3,4 ± 3,73 ng/ml nei controlli (p = 0.0032). Inoltre, i livelli di prolattina erano positivamente correlati con i livelli di cTnI, indicando una relazione tra prolattina elevata e danno miocardico.

Prolattina e stress neuroendocrino

L’aumento della prolattina durante la sindrome coronarica acuta può essere interpretato come una risposta allo stress neuroendocrino. Durante l’infarto miocardico, la necrosi cardiaca porta alla deplezione di antiossidanti e alla risposta ossidativa dei cardiomiociti, attivando l’enzima cathepsina D. Questo enzima converte la prolattina in una sottofrazione di 16 kDa, anti-angiogenica e pro-infiammatoria, che provoca vasocostrizione coronarica, apoptosi e danno infiammatorio dei cardiomiociti.

Implicazioni cliniche

Dal punto di vista terapeutico, i risultati suggeriscono che trattamenti mirati per ridurre i livelli di prolattina potrebbero avere benefici cardiovascolari. Gli agonisti della dopamina, che sono stati utilizzati con successo per trattare l’iperprolattinemia, potrebbero essere esplorati per il loro potenziale nel ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti con ACS​.

Inoltre, l’impiego di farmaci che modulano la risposta allo stress neuroendocrino, riducendo così l’eccessiva secrezione di prolattina, potrebbe rappresentare una nuova frontiera nella gestione delle malattie cardiovascolari​(11).

Limitazioni

Le limitazioni dello studio includono la dimensione del campione relativamente piccola e il fatto che lo studio sia stato condotto in un’unica istituzione. Inoltre, non è chiaro se i livelli elevati di prolattina siano una causa diretta delle complicazioni cardiovascolari o semplicemente un biomarcatore di queste condizioni.

Conclusioni

Le implicazioni di questo studio riguardo l’uso della prolattina come biomarcatore del rischio cardiovascolare nei pazienti con MI sono promettenti, ma richiedono ulteriori ricerche ed è necessario approfondire la comprensione dei meccanismi attraverso i quali la prolattina influenza il rischio cardiovascolare.

Farmaci come gli agonisti della dopamina, che sono stati utilizzati con successo per trattare l’iperprolattinemia, potrebbero essere esplorati per il loro potenziale effetto nella riduzione del rischio cardiovascolare in questa popolazione.

L’integrazione della misurazione della prolattina con altri biomarcatori cardiovascolari, come la troponina e i livelli di glucosio nel sangue, potrebbe fornire una valutazione più completa e accurata del rischio cardiovascolare nei pazienti con MI.

Riferimenti bibliografici

  • Al-Kuraishy, H. M., Al-Gareeb, A. I., Awad, M. S., & Alrifai, S. B. (2016). Assessment of serum prolactin levels in acute myocardial infarction: The role of pharmacotherapy. Indian Journal of Endocrinology and Metabolism, 20(1), 72-79. doi:10.4103/2230-8210.172240.
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